Questioni razziali – parte II

Chad Future è un ragazzo che sostiene di voler riempire quello spazio che separa kpop e pop occidentale, vorrebbe diventare il ponte fra i due mondi.
Questo il suo desiderio espresso in interviste. Viene comunque visto come un intruso da molti fans stranieri del kpop, poiché non coreano e in generale non di etnia asiatica.

Giochino. Trova gli stranieri non coreani in questo video pieno di celebrità sud coreane.

Si nota un occidentale, Brad dei Busker Busker.
Ma non è il solo in questo video: abbiamo anche Jackson dei GOT7, nato e cresciuto a Hong Kong. Jia delle Miss A, cinese.
Amber stessa, membro delle f(x), californiana di famiglia taiwanese. E per passare a coloro che sono nati e cresciuti all’estero da genitori di origine coreana abbiamo Aron dei Nu’est, e Park Joon Hyung dei g.o.d., entrambi provenienti dagli Stati Uniti, credo ci siano altri che non conosco.

‘Kpop sta per korean pop, gli occidentali come Chad Future non possono farne parte’.
Forse è vero.
Forse agli occhi dei fans stranieri avere degli idols kpop non asiatici può sembrare strano e spiacevole, forse è difficile anche avere una buona risposta del mercato interno. Eppure i Busker Busker con Brad sono diventati, contro ogni aspettativa, uno dei gruppi più amati. E in questi giorni per il terzo anno consecutivo sale in cima alle classifiche la loro canzone Peokkochending (Cherry Blossom Ending – La fine della fioritura dei ciliegi), divenuta evidentemente, sinonimo di primavera per molti coreani.

I Busker Busker effettivamente più che un gruppo di idols kpop, sono un gruppo musicale basato in corea e formato da due coreani e un americano, ora in hiatus apparente (lo scioglimento non è mai stato ufficializzato).

Quando diciamo che il kpop è coreano dimentichiamo tutti quegli stranieri asiatici che hanno fatto o fanno parte dei gruppi kpop sia maschili che femminili. Nickhun dei 2PM, il principe tailandese; Henry, canadese di Toronto nato da padre di Hong Kong e madre taiwanese; Victoria delle f(x), cinese; Zhoumi, Tao, Bam Bam, Fei, e molti altri. Tutti stranieri che hanno imparato e stanno imparando il coreano come seconda o terza lingua.
Il fattore linguistico non è indifferente. Se per uno straniero che conosce poco o niente il coreano sarà difficile riconoscere accenti stranieri o imperfezioni linguistiche, per i locali saranno evidenti errori, accento, e miglioramenti. Il livello di coreano sarà quindi un possibile elemento che influenzerà il gradimento e le simpatie.

Membri stranieri aiuteranno il gruppo all’estero a seconda delle nazioni visitate, oltre ad attirare l’attenzione dei media  e fans esteri.

Il kpop oggi non è solo coreano, ma è un fenomeno globale con epicentro in Asia.
Basta guardare clip tratte dallo show After School, presentato da Eric Nam, coadiuvato da Kevin (Ukiss), con ospiti Brad (Busker Busker), Amber (f(x)) e Peniel (BtoB), per rendersi conto di come quelli che apparentemente ci sembrano ragazzi asiatici (a parte Brad), forse coreani, sono persone che lavorano e vivono per lavoro in Corea, ma provengono da Stati Uniti e Canada.

E se pensiamo che il kpop sia estraneo al pop occidentale ci inganniamo.

 

Droghe leggere fra Italia e Asia.

Non pensavo che mi sarei mai interessata alla questione delle droghe leggere in Corea, ma l’ennesimo caso di arresto di un idol per consumo di marijuana mi ha spinto a fare alcune ricerche.

In Italia il consumo di marijuana è molto diffuso. Nel 2012 l’indagine dell’Osservatorio Europeo delle droghe e della tossicodipendenza ha evidenziato  che il 14,3% della popolazione fra il 15 e i 65 anni fa uso di cannabis e derivati. In generale la cannabis detiene il primo posto fra le droghe più diffuse in Europa.

E’ importante sottolineare che al di là di ciò che viene stabilito per legge, e delle motivazioni che spingono a promulgare determinate leggi, è riconosciuto che la cannabis non provoca la dipendenza che, ad esempio, provoca la cocaina (altra droga per il cui consumo l’Italia è terza in Europa). Ed è inoltre possibile il suo impiego anche in ambito terapeutico. Nondimeno provoca danni permanenti se assunta in età adolescenziale, e contine sempre una sostanza psicoattiva.

La cannabis, o marijuana, è classificata da noi come droga leggera, e sebbene  bollata come illegale, la legge attualmente in vigore prevede che entro i 5oo mg di THC (5 g di sostanza lorda con principio attivo al 10%), è considerato possesso per uso personale e non è punibile penalmente. Sopra tale quantitativo si può essere accusati di spaccio, e si è punibili, a seconda dei casi “con la reclusione da sei a venti anni e con una multa da euro 26.000 a euro 260.000 (art. 73/1bis DPR 309/1990) oppure con la reclusione da uno a sei anni e con una multa da €3000 a €26.000 per i c.d. fatti di lieve entità (art. 73/5 DPR 309/1990)”.

Inoltre ne è stato ammesso l’uso a scopo terapeutico, seppur tramite medicinali dal costo molto elevato.

Quindi sebbene da noi fumare cannabis sia illegale,  può venire tollerato entro certi limiti.

La situazione è molto diversa in Corea del Sud. L’uso di cannabis è punito alla stregua dell’uso (e abuso) della cocaina e delle altre droghe.

Si viene puniti e arrestati non solo se colti in flagrante, ma anche se si risulta positivi al test delle urine o dei capelli (ossia se risulta che nell’organismo è presente del THC).

I controlli che vengono fatti per trovare eventuali consumatori di cannabis sono più rigidi ed “efficaci” e le sanzioni più pesanti. Ci si può ritrovare a scontare da alcuni mesi ad anni di prigione, a seconda della gravità del reato (se si spaccia, se si possiedono altre droghe etc.). E la sostanziale differenza è che un “uso privato” che da noi non viene punito, lì si. Se si è stranieri inoltre si viene espulsi dal Paese.

Per un personaggio pubblico, essere trovati colpevoli di fumare o possedere cannabis, può essere più duro che per una non celebrità, e questo perché ci si aspetta che chi è sotto i riflettori sia di esempio per la nazione, un suo errore quindi lo rende responsabile non solo davanti alla legge, ma davanti alla nazione intera.

Un caso del genere  è stato  quello di Crown J (Kim Gye Hoon), un rapper che debuttò nel 2008 e che nel 2010 è stato fermato per uso di marijuana. La condanna nel suo caso è stata di 8 mesi in prigione più due anni di libertà vigilata, 80 ore di servizio comunitario e il pagamento di una multa.

Al momento i riflettori sono puntati su Daniel dei DLMTN, dato che è stato accusato (come poi da lui confessato) di aver fatto da mediatore in compravendita di marijuana, pur negando di esserne un consumatore (cosa confermata dai test). Ma in passato anche PSY, G-Dragon, JYP e altri attori o musicisti o presentatori, sono stati messi alla sbarra con accuse più o meno fondate, e non sempre culminate in condanna.

Non saprei dire se l’atteggiamento severo della Corea del Sud abbia a che fare con la posizione sostanzialmente neutra assunta dalla Corea del Nord.

Ma non sapevo, e mi ha stupito inizialmente, scoprire come in Corea del Nord la cannabis non è considerata una droga, pertanto la legge non prevede sanzioni per il suo consumo.

Potremmo dedurre che quindi l’uso è legalizzato, ma in realtà non è così, perchè più semplicemente la questione della legalità della cannabis in quanto sostanza stupefacente, non sussiste.

C’è anche da dire però che in generale si sa che diversamente nella maggior parte del mondo la cannabis è considerata una droga, legalizzata o meno, pertanto non bisogna illudersi che la Corea del Nord sia una sorta di grande Amsterdam. Non credo che abbia nessun interesse né a diventarlo, né a pubblicizzarsi come tale.

Curioso anche notare come l’America abbia invece a che fare con alcune delle leggi sull’uso della cannabis in Asia.

(A tal proposito una curiosità, il nome marijuana è stato adottato inizialmente in America al posto di cannabis nel tentativo di rimandare con il suono alla lingua messicana, e quindi alla questione dell’immigrazione dei messicani, così da rendere i cittadini a favore di questo bando.)

In Giappone, dove l’uso di cannabis non veniva punito fino all’avvento di una legge promulgata dagli americani dopo la seconda guerra mondiale (il Cannabis Control Act del 1948), e anzi era largamente diffusa per vari usi, la legge attuale rende questo un crimine trattato sostanzialmente come in Corea del Sud.

Un esempio celebre è quello dato dall’arresto di Paul McCartney che nel 1980 fu perquisito all’arrivo a Narita, e, trovato in possesso di marijuana, ha passato 9 giorni in prigione prima di essere scarcerato in quanto ”inconsapevole” delle leggi antidroga giapponesi.

Perché l’ironia della storia antidroga è che ormai gli USA non sono così rigidi in materia di droghe, mentre il Giappone ha mantenuto la linea allora promossa dagli americani.

Ma è a Taiwan che la legge è estremamente severa. Lì infatti non solo il consumo di questa droga è illegale, ma può essere punibile con l’ergastolo o perfino la pena di morte. (Perché, ricordo, nei Paesi asiatici è ancora in vigore la pena di morte.)

Vi è stato il caso di un giovane insegnante canadese che trovato in possesso di marjuana e cocaina, e in effetti implicato in un giro di droga, è stato arrestato nel 2006. Ora sta scontando una pena di 15 anni, riducibile a 10, e ha probabilmente evitato la pena di morte in quanto in Canada la legge a riguardo è diversa, e quindi per certi versi, questo ragazzo poteva aver sottovalutato il peso delle sue azioni in un Paese con leggi diverse da quelle canadesi.

Ovviamente al di là delle leggi in vigore che rendono l’uso di cannabis illegale, il mercato di droghe è fiorente, come nel resto del mondo. E questo, per uno straniero,  può rendere difficile la comprensione della serietà con cui l’uso di droghe viene punito.

Se da noi in Italia la bravata di una sera in una discoteca o per strada può portare a una multa e “rogne” varie per dimostrare che quella canna rientra nei limiti tollerati dalla legge, in questi paesi può diventare un incubo legale di mesi se non di anni, con carcere o peggio pena capitale.

Ecco perché l’accusa di “farsi le canne” è così grave in Corea del Sud, ed ecco perché è bene riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni quando si va in questi paesi come turista o lavoratore, per periodi più o meno prolungati di tempo.